Le conseguenze del «patentino», cosa cambia per gli agricoltori hobbisti

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la Redazione
16 maggio 2019

Dal 2 maggio 2020 anche gli appassionati del verde dovranno avere la certificazione per poter usare la maggior parte dei prodotti fitosanitari

L’applicazione delle norme stabilite dal D.M. 33 del 22 gennaio 2018 del Ministero della Salute porrà nell’immediato futuro forti limiti all’impiego dei fitofarmaci per uso non professionale: a partire dal 2 maggio 2020 tutti i prodotti non classificati come prodotti da utilizzare esclusivamente per la difesa fitosanitaria di piante ornamentali («Pfn-PO») o prodotti per la difesa fitosanitaria di piante edibili («PFnPE») saranno a disposizione esclusivamente di utenti in possesso del certificato di abilitazione all’acquisto e all’utilizzo dei prodotti fitosanitari («patentino»). Patentino che dovranno conseguire praticamente tutti: dal giovane appassionato che nel tempo libero si dedica al vigneto di famiglia, all’anziano che coltiva il suo pezzetto di orto urbano, fino alla signora che per poter combattere gli argidi che defogliano le sue rose dovrà prima affrontare 20 ore di lezione e sostenere un esame con domande a risposta multipla. Sì, perché i cosiddetti «prodotti fitosanitari per uso non professionale», i «PFnPO» e i «PFnPE», disponibili saranno davvero pochi; le maglie del decreto sono infatti strettissime: solo 7 principi attivi sui 365 presenti sul mercato. Rendendo praticamente impossibile un minimo di difesa efficace di qualsiasi coltura. Una prospettiva amara soprattutto per i tanti appassionati avanti negli anni: per un pensionato il costo di un corso di abilitazione può infatti costituire una difficoltà. E gli anziani non sono certo portati a frequentare corsi e a sostenere esami. Senza contare poi le difficoltà per acquisire il patentino: oltre al costo e all’impegno di tempo, non è ancora noto quali enti dovranno organizzare i corsi e se questi saranno in grado di reggere l’incredibile impatto di almeno un milione di richieste, oltre agli 800.000 utilizzatori professionali che già lo devono rinnovare ogni 5 anni. A nostro avviso con l’applicazione del D.M. 33/2018 molti piccoli coltivatori e amanti del verde saranno invogliati a rinunciare alla loro passione, e originerà diversi problemi che ci sentiamo obbligati a rilevare.

Sulla diffusione di un’agricoltura sostenibile e a basso impatto ambientale

I piccoli coltivatori e gli hobbisti, proprio perché sono i primi consumatori dei prodotti del loro orto e del loro frutteto, sono da sempre fra i più attenti alla tutela dell’ambiente e si sforzano di impiegare prodotti fitosanitari il meno impattanti possibile. Per loro non saranno più disponibili nemmeno gli agrofarmaci ammessi in agricoltura biologica che da sempre sulle pagine di Vita in Campagna suggeriamo di preferire: anche per acquistare e impiegare il piretro naturale, il rame, lo zolfo, i prodotti contenenti Bacillus thuringiensis, le trappole a feromoni, ecc. sarà necessario presentare il «patentino» al rivenditore.

Sull’ambiente e il paesaggio

In conseguenza della mancata possibilità di un minimo di difesa efficace non è infatti improbabile la rinuncia da parte di chi coltiva piccoli vigneti, frutteti e orti in aree ambientalmente fragili e il conseguente abbandono del territorio; ciò avverrà prevalentemente nelle zone di collina e montagna che ancora in buona parte sono curate, tra mille altre difficoltà, dai nostri «piccoli» coltivatori.

Sui costi di manutenzione

Se per la difesa delle piante di un giardino o di un orto ci si dovrà rivolgere a un giardiniere professionista in possesso del patentino, inevitabilmente i costi di manutenzione del proprio spazio verde lieviteranno, inducendo gli appassionati a desistere.

Sulla funzione sociale e la diffusione della «cultura» del verde

Da sempre la passione per l’orto, il giardino e la Natura, lega una generazione alla successiva: quali saranno le conseguenze per la perdita di una tradizione assolutamente positiva qual è la cura del verde?

Sull’economia e l’occupazione

Dal 20 maggio 2020 l’impatto diretto e immediato sulla decina di aziende che in Italia producono agrofarmaci per l’uso hobbistico (per un valore di oltre 50 milioni di euro) sarà senz’altro rilevante; sarà pesante anche sull’occupazione e drammatico per i loro dipendenti che perderanno il posto di lavoro. Senza contare l’effetto negativo sul settore florovivaistico, che vedrà ridursi il fatturato, nonché sul mercato delle attrezzature e dei prodotti per la cura del verde: senza possibilità di difesa compreremo meno piante, e di conseguenza meno concimi, stallatici, terricci, vasi ecc. È quindi assai probabile un impatto negativo sull’occupazione dei lavoratori in tutto il settore.

Sul rispetto delle norme di legge

Non è difficile immaginare che per risolvere certe situazioni alcuni (o molti?) cercheranno e troveranno altre facili scorciatoie rivolgendosi, per esempio, al nebuloso mondo dell’e-commerce – in Internet si può ormai acquistare di tutto! – se non addirittura al mercato sommerso e illegale dei fitofarmaci, o ricorrendo all’impiego di prodotti di dubbia composizione o di concimi con finalità fitoiatriche. Vale quindi davvero la pena di impedire a oltre un milione di appassionati del verde di curare e proteggere le loro piante, gli ortaggi e i fiori, vietando l’impiego su piccole superfici di prodotti come lo zolfo, o il piretro (ottenuto com’è noto da una pianta africana della famiglia delle Composite), la cui tossicità sull’uomo e il cui impatto ambientale non sono superiori a quelli di molti comuni detergenti per la pulizia della casa? E poi, gli altri Paesi europei come hanno affrontato il problema? Ci risulta che la soluzione trovata dal nostro Ministero della salute sia in assoluto quella drasticamente più riduttiva.

Siamo convinti che privare i piccoli coltivatori e tutti gli appassionati del verde di un numero minimo di prodotti che consentano una difesa efficace sia sproporzionato rispetto all’obiettivo: mettere sullo stesso piano un piccolo coltivatore e un agricoltore professionista rappresenta un eccesso di prudenza del quale sinceramente non comprendiamo il senso. Aspettiamo che qualcuno ce lo spieghi. Nel frattempo, l’impressione che ne ricaviamo è che, ancora una volta, per noi italiani calzi a pennello la vecchia metafora del bambino gettato via insieme all’acqua sporca…

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