Il Museo Cervi a Gattatico, in Emilia Romagna

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la Redazione
11 aprile 2023

Da un’atroce storia della seconda guerra mondiale è nato un museo dedicato ai movimenti contadini e alla Resistenza nelle campagne, per studiare il tormentato periodo tra il tramonto della dittatura e l’alba della repubblica

Era la mattina del 28 dicembre 1943 quando nel poligono di tiro di Reggio Emilia furono fucilati i sette fratelli Cervi (agricoltori democratici e antifascisti) e un altro partigiano, Quarto Camurri. Un episodio sconvolgente, una spietata rappresaglia che apparve esagerata anche alle stesse gerarchie fasciste della neonata Repubblica di Salò, tanto che sul verbale dell’esecuzione venne scarabocchiata una domanda, quasi a confessare una malcelata incredulità: «sono 7 fratelli?».

Contadini che amavano il progresso

Si chiamavano Gelindo, Antenore, Aldo, Ferdinando, Agostino, Ovidio ed Ettore Cervi.

Gelindo era il più grande: aveva 42 anni, una moglie e tre figli; partecipava ai corsi per l’aggiornamento agricolo e non aveva mai nascosto la sua profonda avversione al fascismo. Tre figli aveva anche Antenore, 39 anni, riflessivo e di poche parole, abile falegname nel costruire attrezzi di lavoro. Aldo, classe 1909, al contrario era intraprendente e irrequieto, probabilmente il più appassionato di politica, cattolico e poi socialista; si era accompagnato con Verina Casagnetti, senza sposarla e avendo con lei due figli, ribelle anche in questo. Ferdinando aveva 32 anni: era un fantasioso sperimentatore di innovazioni agricole ed era celibe. Agostino, più giovane di lui di 5 anni, era invece già sposato con Irnes Bigi e aveva tre figli. Ovidio aveva 25 anni e uno spirito allegro che rifuggiva dagli scontri ideologici. E infine Ettore, il più giovane, 22 anni appena, ma che aveva già combattuto sul fronte jugoslavo. È sua l’ultima lettera che i fratelli inviarono dal carcere ai genitori, datata 27 dicembre, il giorno prima della fucilazione. «Sempre coraggio, e tutto sarà niente», scriveva. In queste poche fugaci parole esprimeva istintivamente la pazienza contadina che dopo una tempesta rovinosa attende il ritorno del sole per riparare i danni e ricominciare. Ma quella volta non fu così. Di questa operosa famiglia rimasero solo due figlie, Rina e Diomira, la madre Genoeffa Cocconi, che però morì di dolore neppure un anno dopo, nel novembre 1944, e il padre Alcide (1875-1970), anch’egli imprigionato e in seguito instancabile testimone, quasi condannato a ricordare per tanti anni ancora.

La casa diventa museo

Furono catturati nella loro grande casa in località Campirossi, tra Caprara e Praticello, nel comune di Gattatico (Reggio Emilia), assieme ad altri amici, dopo una sparatoria e l’incendio del fienile. La famiglia Cervi aveva preso in affitto il podere da neppure dieci anni: il padre e i figli più grandi avevano livellato i terreni, sperimentando nuove tecniche di coltivazione e pensando anche di formare una biblioteca popolare per migliorare la resa agricola e sognare un riscatto culturale. Nel 1939 acquistarono il primo trattore, su cui era issato un mappamondo, curioso simbolo di conoscenza e apertura mentale: si è conservato ancor oggi. Due anni dopo è la volta di un potente Landini a testa calda. Nello stesso anno ampliarono gli ambienti della casa, destinata ad accogliere partigiani e pacifisti nei mesi convulsi che seguirono l’armistizio dell’8 settembre 1943 e il rovesciamento delle alleanze.

Quella casa è diventata uno dei più suggestivi musei rurali italiani, diviso in tre sezioni principali. La prima è dedicata al lavoro nei campi e alla meccanizzazione degli anni Quaranta, di cui i Cervi furono grandi sostenitori. La seconda racconta con mappe e filmati la nascita della Resistenza nel Reggiano, che diede un ideale politico alle rivendicazioni sociali che da decenni pervadevano le campagne. La terza sezione porta direttamente nelle stanze abitate dalla famiglia Cervi: la cucina con gli arredi originali, la cantina e due stanze da letto. Tra gli oggetti più curiosi, non poteva mancare la macchina a pedale per stampare fogli clandestini, conosciuta come «pedalina». La «banda Cervi», così era chiamata, di giorno lavorava nei campi e di notte cospirava per sabotare e incitare alla lotta.

Un percorso nel podere

vite-maritata-acero-campestre-museo-fratelli-cervi-gattaticoIl museo è gestito dall’Istituto «Alcide Cervi», fondato nel 1972 per iniziativa dell’Alleanza nazionale dei Contadini (oggi Cia, Confederazione italiana agricoltori), dell’Associazione nazionale Partigiani d’Italia, della Provincia di Reggio Emilia e dei Comuni di Gattatico e di Campegine. La sua biblioteca-archivio ha raccolto i volumi e i documenti del grande storico dell’agricoltura Emilio Sereni (1907-1977), mentre il parco agro-ambientale è un percorso guidato all’interno del podere che documenta il rapporto tra uomo e ambiente nella Pianura Padana. In un ettaro di terreno è stato ricostruito anche il tipico schema della piantata reggiana con vite «maritata» all’acero campestre (foto a destra), un tempo assai diffuso e oggi in pratica scomparso. Il ricordo dell’eccidio si è trasformato nell’impegno a condividere i valori democratici che animarono la famiglia Cervi e migliaia di agricoltori italiani, in quegli anni protagonisti di gesti di eroismo quotidiano, manifestazioni di piazza e occupazioni di terre, fino alla riforma fondiaria approvata in Parlamento nel 1950. In un’Italia che riemergeva dalle macerie della guerra, una nuova generazione raccolse i frutti di coloro che con passione avevano seminato passione civile e progresso sociale.

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